venerdì 29 maggio 2015

Artista di strada


Ogni mattina arrivare al lavoro era diventata una vera impresa, una corsa contro il tempo per incastrare tutto: preparare la colazione, vestire i  bambini, accompagnarli a scuola, correre al lavoro, in tempo.
Il suono della sveglia la faceva soffrire più del solito, si sentiva sempre più stanca e l’idea di andare a chiudersi in quell’ufficio a smaltire quella massa di scartoffie stava diventando sempre più insopportabile.
Il tragitto fino all’ufficio prevedeva un percorso obbligato con diversi semafori e, più era in ritardo, più erano rossi.
Anche quel giorno arrivò al solito semaforo vicino ai giardini e avvicinandosi vide il verde diventare giallo, inutile tentare di passare, si fermò rassegnata, tanto ormai era in ritardo, ancora una volta.
Guardò alla sua destra, sul marciapiede in prossimità del semaforo c’era un ragazzo, lo guardò mentre appoggiava a terra in un angolo un piccolo borsone nero e cominciava a prepararsi, il ragazzo si arrotolò le maniche della camicia, indossò un gilet e prese dal borsone tre birilli di plastica. Lo riconobbe era il giocoliere che aveva notato per la sua bravura il giorno precedente, a quello stesso semaforo,  mentre procedeva in senso inverso per il rientro a casa.

Lo aveva notato per la sua bravura e per quella sua bellezza acerba da ventenne. Gli aveva dato un euro e lui aveva ricambiato con un sorriso. Era stata una giornata di lavoro piuttosto pesante e quel sorriso le aveva reso più leggera la serata.

Pensò che era una buona iniziativa inventarsi un lavoro in un periodo di crisi economica come quello che stavano attraversando. Lo osservò con attenzione e pensò che avrebbe potuto fare il modello, aveva una bellezza sorprendente e inconsapevole.

Il suono di un clacson le segnalò che il semaforo era verde, doveva ripartire e a malincuore lo fece.
Non seppe ben spiegarsi perché nel corso della giornata il pensiero era più volte andato a quel semaforo e al suo giovane giocoliere.

Da allora ogni giorno rientrando a casa sperava di trovare il semaforo rosso e di trovarsi abbastanza vicino all’incrocio in modo da poterlo osservare indisturbata per quella frazione di secondo e, dargli un euro in cambio di un sorriso.
Suo marito avrebbe pensato che era pazza e i suoi figli avrebbero riso di lei, se l’avessero saputo, ma lei aveva bisogno di quel sorriso per affrontare meglio le sue giornate incastrate in quel groviglio di doveri in cui si sentiva soffocare.

Aveva bisogno di quel sorriso per ricordare un ragazzo di vent’anni di un tempo lontano, un tempo in cui i suoi sogni, per un breve indecifrabile attimo, avevano cercato di avverarsi.

 

giovedì 21 maggio 2015

La teoria del tutto: vite vere che sembrano film

Sono stata al cinema a vedere questo film domenica scorsa perchè non ero riuscita a vederlo appena uscito
Premetto che non sapevo nulla della sua trama, pensavo fosse una versione romanzata della vita del fisico che ha scoperto la teoria in questione. Beata ignoranza, in questo caso la mia.
Non conoscevo la vita del fisico, ne tantomeno sapevo che il film era tratto una storia vera.
 

 
 
La trama del film in breve è la seguente: il giovane Stephen Hawking, cosmologo dell'Università di Cambridge, sta cercando di trovare un'equazione unificatrice per spiegare la nascita dell'universo e come esso sarebbe stato all'alba dei tempi.
Ad una festa universitaria conosce la studentessa di lettere Jane Wilde e i due si innamorano.
La loro storia d'amore viene ostacolata però dalla comparsa della malattia degenerativa di Stephen, la malattia del motoneurone,  una forma di atrofia muscolare progressiva. I dottori dicono che avrà solo due anni di vita. Il rifiuto della malattia viene superato dalla determinazione di Jane che decide di rimanere al fianco di Stephen, amandolo e facendosi carico della sua salute.
I due si sposano e cominciano la loro convivenza.
Per Stephen camminare, scrivere e infine parlare diventano sempre più difficoltosi.
Stephen peggiora di giorno in giorno e, ben presto, sarà costretto a spostarsi su una sedia a rotelle, nel frattempo hanno tre figli e per Jane le fatiche per accudire il marito diventano sempre maggiori.
Stephen ottiene la cattedra di Matematica all'Univeristà di Cambridge, va comunque avanti con i suoi studi e presenta la sua nuova teoria sull'origine e sulla fine dell'universo davanti ad un congresso di scienziati. E sono passati molto più di due anni.
Ecco non sto a raccontare il resto del film, ci sono alterne vicende anche con Jane, ma nonostante la malattia e le difficoltà riescono ad avere una vita piena.

Stephen Hawking è ancora vivo oggi, anche se è immobile e comunica con un sintetizzatore vocale, il suo libro più famoso e importante "A Brief History of time" è un best seller che ha venduto dieci milioni di copie pur trattandosi di un saggio.

Il film è bellissimo e ho trovato straordinari gli attori, ma trovo ancora più straordinaria la vita dei protagonisti della vita vera: la moglie che con la forza dell'amore affronta le enormi difficoltà quotidiane della gestione familiare e sostiene il marito nelle sue ricerche e Stephen, indebolito nel corpo, ma sempre più forte nella mente.

Sono uscita dal cinema con il magone per la forza della storia, ma anche felice per quello che questa storia è riuscita a trasmettermi: l'energia positiva, la forza e la speranza che ciascuno può trovare in se stesso, nonostante tutto.

Intanto, mentre sto meditando di comprare il libro di Hawking (c'è anche la versione ebook ) oppure quello di Jane, sua moglie, "Travelling to infinity: my life with Stephen" da cui è tratto il film, mi chiedo: chi scrive può rendere straordinaria con altrettanta efficacia una storia di questo tenore non ispirata alla realtà ma semplicemente alla sua fantasia ?





martedì 12 maggio 2015

La scelta del titolo giusto

Come scegliere il titolo del romanzo che si sta scrivendo? 
È necessario un titolo che dia il senso della storia, ma nello stesso tempo sia evocativo, colpisca la fantasia del lettore e resti impresso nella mente. 
Non è facile trovare un titolo che contenga contemporaneamente tutte queste fantastiche caratteristiche.
Avere un bel titolo per il proprio libro è già un grande vantaggio, io a volte ho comprato un libro solo perché il titolo mi sembrava meraviglioso.
Confesso che per il mio romanzo il titolo mi é sorto spontaneo mentre lo scrivevo. 
Ho provato anche a cambiarlo perché mi sembrava troppo lungo.
Ma nel corso dell'ennesima revisione ho capito che poteva essere solo quello perché esprimeva il senso del romanzo: un percorso di vita attraverso il quale trovare la libertà di esprimersi e di essere davvero se stessi. 
È accaduto qualcosa di analogo anche per il mio nuovo romanzo, appena completato, da revisionare, correggere, rileggere, rivedere e tutto il resto. 
C'è un lungo lavoro ancora da fare.
Il titolo però mi è sgorgato all'improvviso, da dentro. 
Quando ho buttato giù la prima versione del romanzo era senza titolo e non ne avevo idea, il vuoto mentale.
Poi qualche tempo dopo averlo scritto ho cercato di mettere a fuoco la storia e di capire quale poteva essere il titolo giusto, ho cominciato a buttar giù un elenco di titoli possibili a ruota libera, 
come quando nelle riunioni di lavoro si fa il "brainstorming" per vedere di trovare un'idea vincente sulla soluzione di un problema, 
scusate la reminiscenza sugli studi aziendali...
Comunque ho fatto "brainstorming" con me stessa e alla fine dei giochi uno dei titoli dell'elenco era il mio titolo.
Era inequivocabilmente lui. 
Spiccava in quell'elenco tra tutti gli altri e sembrava dirmi "ehi sono qua, guardami sono io quello giusto!"
Poi c'è anche la canzone del mio romanzo, quella l'ho scoperta per caso.
Mentre cercavo su Spotify un vecchio pezzo degli Stadio sono stata colpita da un titolo, era quasi il titolo del mio romanzo e, ovviamente incuriosita, ho ascoltato il pezzo.
Sono rimasta folgorata, è una canzone che sembra raccontare proprio quella storia, non potro usarla per via dei diritti, però se il romanzo fosse una canzone sarebbe quella.
Infine in questi giorni si è delineata nella mia mente la visione di quella che potrebbe essere l'immagine per la copertina.  
Come spesso mi accade ho delle intuizioni mentre sto facendo tutt'altro, così è avvenuto con la copertina, è ancora nebulosa e indefinita, ma vedremo, una cosa alla volta...
Torniamo al titolo.
Voi come scegliete il titolo di una storia che scrivete?  Seguite un processo particolare, è una scelta che sgorga spontanea oppure è il frutto di approfonditi studi a tavolino? 

giovedì 7 maggio 2015

Operazioni di scavo

 Io scrivo di pancia, per me è così, inevitabilmente.
Quando ragiono troppo sulle cose il risultato non è dei migliori,
quindi forse è meglio scrivere di pancia.
È un po' come le scelte: si fanno con l'istinto e quasi sempre risultano essere quelle giuste.
Poi ragioni sulle cose infinite volte, valuti tutti i pro e i contro,
fai tutte le simulazioni del caso e alla fine il risultato è deludente
se non addirittura un disastro. 
Ora sono a punto critico della mia storia (forse anche della mia vita, ma questa è un'altra cosa )
e sto meditando su come farla andare avanti o finirla.
Non ho ancora fatto chiarezza e nel frattempo scavo all'interno di me stessa,
all'interno dei ricordi e all'interno di un epoca neanche troppo lontana,
anche se sembrano passati anni luce.
Sono immersa in questa storia mio malgrado e quasi confondo fantasia e realtà. 
Nel frattempo leggo e mentre leggo mi capita di trovare frasi illuminanti.
Mi ha colpito una frase scritta da Massimo Gramellini nel suo romanzo autobiografico "Fai bei sogni":
"Ma le operazioni di scavo che rendono lo scrittore simile all'archeologo
avevano ridato forza al mio mostro interiore"
Quando scavi puoi scoprire cose che non avevi capito in una vita intera.
Soluzioni che avevi sotto il naso e che non vedevi.
Ecco le mie operazioni di scavo mi hanno portato a un bivio
e adesso devo scegliere la direzione.
Devo cercare di non sbagliare, ma è inutile ragionarci sopra,
devo ascoltare la mia pancia.
Allora, resto seduta e aspetto.